sabato 5 aprile 2014

Yves Saint Laurent

"Yves Saint Laurent" di Jalil Lespert. Con Pierre Niney, Guillaume Gallienne, Charlotte Lebonne, Laura Smet, Marie de Villepin, Nikolai Kinski, Anne Alvaro e altri. Francia 2014 ★★★½
Buon film biografico che racconta efficacemente e senza giudicarla la tormentata vita, tra luci e ombre, di una personalità complessa e introversa come quella di Yves Saint Laurent, artista a tutto tondo che ha rivoluzionato, agli inizi degli anni Sessanta, un mondo paludato e ingessato come quello dell'alta moda. Voce narrante è Pierre Bergé, ottimamente interpretato da Giullaume Gallienne, mentore, manager e compagno di vita di Yves Saint Laurent, cui dà vita, con tutti i suoi tic e le sue ritrosie, Pierre Niney, anche lui attore della prestigiosa Comédie Française e, come Gallienne, straordinariamente somigliante all'originale. Chiamato a dirigere la Maison Dior alla morte del fondatore nel 1957, a soli 21 anni, il giovane disegnatore franco-algerino, originario di Orano, si mette in luce alla presentazione della prima collezione personale che ha subito un grande successo, ma venne licenziato tre anni dopo quando fu ricoverato per una crisi maniaco depressiva in occasione del richiamo alle armi durante la guerra d'Algeria. Fu in quell'occasione che iniziò il sodalizio anche lavorativo con Bergé, che prendendolo sotto la sua ala protettrice per il resto della sua esistenza si occupava di tutti gli aspetto pratici e comunque lontani dalla personalità artistica di Yves, consentendogli di riversare tutte le sue energie nella creatività e nell'invenzione delle sue realizzazioni sempre più innovative e spesso anticipatrici. Fu una vita di eccessi, quella di Yves, parallela a quelle delle rock star più "maledette", in sintonia con un decennio di cambiamenti epocali e agitata da fermenti di ogni genere come quello degli anni Sessanta e quello successivo, quando si consolida la griffe YSL che si lancia, tra le prime, anche nel prêt-à-porter inaugurando negozi con il proprio marchio, e la pellicola ci mostra non solo l'evoluzione artistica e lavorativa del personaggio e della casa che fu tutt'uno con lui, ma anche quella personale, del suo rapporto di totale complementarietà con Bergé, fatto anche di tradimenti reciproci ma che resistette fino all'ultimo; quello di affetto profondo ma anche litigioso con l'amica, confidente  e modella preferita, Victoria; quelli conflittuali, nonostante l'apparenza, con la famiglia d'origine e la madre in particolare; quelli di amicizia, più o meno interessata; quindi con l'ambiente sia modaiolo sia intellettuale e dello spettacolo, nonché i problemi con alcol, droghe, psicofarmaci; il suo profondo legame con la terra nativa, il  Maghreb, sempre fonte di ispirazione per i suoi colori e le sue forme, e non potevano mancare le riprese nella incantevole Villa Majorelle che YSL fece costruire a Marrakech, tutt'ora visitabile. Una pellicola valida, ben girata, che fa conoscere gli aspetti oscuri di un mondo apparentemente fulgido e spensierato, mai agiografica. YSL non è mai mostrato negli ultimi anni, quelli del totale decadimento fisico, in cui appariva devastato dagli stravizi e dalle malattie, forse per una forma di rispetto, mentre Bergé sì. Ecco: rispetto, affetto però mai ruffianeria: questo l'atteggiamento del regista, anche lui di origine algerina, nei confronti del suo celebre conterraneo. Ritratto di artista, di uomo ma anche di una società e specchio di un'epoca vitale. 

2 commenti:

  1. Sarebbe interessante ora vedere un film sull'altro stilista dell'epoca, Paco Rabanne. Fra i due, il più provocatore, quello che affermava che le sue creazioni erano arte nel senso che indossare i suoi capi era come sparare un colpo di pistola (contro il potere, ça va sans dir). Chanel lo definì "il sarto metallurgico", con tutto il disprezzo possibile per le sue creazioni.
    Mentre YSL ha fatto dell'eleganza comoda, morbida e però sempre tesa ad esaltare con l'abito la bellezza vista come arte, e quindi capace di imporre un cambiamento di stile puntando verso il superamento della mera sartoria classica, Paco Rabanne arrivò a costringere i corpi femminili dentro abiti di metallo, plastica, carta (e altri fantasiosi materiali comuni), cuciti con pinze, anelli, lacci di metallo.
    Suo l'abito di Jane Fonda nel film Barbarella, sua prima cliente famosa Audrey Hepburn, suoi i primi abiti da stilista del Crazy Horse.
    Incredibile come per entrambi la parabola sia iniziata e finita pressoché negli stessi anni (uno era del '34, l'altro del '36), cioè da fine anni '60 a fine anni '90 (chiusura 1999 per entrambi, in qualche modo: YSL fu comprato da Gucci, dopo essere passato per le mani della casa farmaceutica Sanofi che qualche anno prima ne aveva rilevato le quotazione di borsa; l'altro arrivando a ideare abiti biodegradabili poco prima di chiudere definitivamente la maison).
    Di entrambi resiste il marchio, che però non c'entra più nulla né con l'haute couture né con lo spirito "contro" che ha caratterizzato l'ascesa di entrambi.

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  2. Questo sì che è un commento che dà soddisfazione! E da cui imparo qualcosa che ignoravo. In realtà sapevo poco anche di YSL, cui però mi lega un'affinità elettiva da quando ho scoperto la sua predilezione per l'accostamento del nero col blu, prima di lui ritenuto improponibile, e che io prediligo su ogni altro.

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