venerdì 25 luglio 2014

Autoritarismo e italianità


E' ben vero che non bisogna generalizzare, cadere nel luogo comune; che il 40,81% di cui è stato accreditato il partito del DeFirenzie alle ultime elezioni europee va rapportato comunque al 57% dei votanti, per cui il fanfarone di cui sopra può dirsi legittimato al massimo come capo del maggiore partito membro del PSE in un'elezione a cui non era nemmeno candidato (per lui, le cinque squinzie della sua banda di cheerleader promosse a capolista delle cinque circoscrizioni elettorali) e non certo come rottamatore, termine a lui caro, di un Parlamento di cui nemmeno è membro; però davanti al più pesante attacco a una già incorporea e discutibile democrazia rappresentativa dai tempi dell'omicidio Matteotti, 90 anni fa, e questo ad opera dei due firmatari del fantomatico "Patto del Nazareno", di cui tutti parlano ma nessuno sa cosa sia, sottoscritto dal presidente del Consiglio in carica assieme all'intramontabile Silvio Berlusconi con l'attiva complicità del Presidente Napolitano per attentare alla Costituzione vigente, bisogna chiedersi se la "deriva autoritaria" insita nella cosiddetta "riforma" della nostra legge fondamentale non faccia parte della componente genetica di questo Paese, non sia insomma connaturata all'italiano medio. Perché questo indica non solo la storia della nazione dall'Unità in poi, ma anche quella delle entità che l'hanno preceduta, tornando indietro nel tempo fino all'epoca di Roma, il Glorioso Passato che un Paese smidollato e immemore tira puntualmente in ballo pur non essendo minimamente in grado di conservarne nemmeno le vestigia (bastino l'esempio della manutenzione di Pompei e il restauro del Colosseo affidato a uno scarparo alla moda), e spiegherebbe la quasi completa indifferenza rispetto a quanto sta avvenendo al Senato in questi giorni, nonché l'assordante silenzio della "intellettualità" del Paese, altrettanto comprensibile vista la sua storica servilità nonché appiattimento su qualsiasi forma di potere, politico o religioso; per non parlare del mondo dell'informazione, se si esclude la meritoria iniziativa della raccolta di firme contro i ladri di democrazia promossa dal Fatto Quotidiano. Questo è il risultato, quando a Capo dello Stato e garante degli equilibri viene messo un comunista irriducibile come Giorgio Napolitano che, in piena coerenza con la sua formazione, non ha il benché minimo senso delle istituzioni ma in compenso uno sviluppatissimo per il Partito, che viene prima di tutto, e per il Potere; un democristiano a capo del partito post-comunista e pure di un governo di larghe intese di fatto sostenuto da un altro criptocomunista, o tale a sua insaputa, come il piduista e pregiudicato Berlusconi. A conferma di quanto quest'ultimo sia a pieno titolo un comunista, seppure abilmente camuffato, ripropongo quanti scrivevo sul vecchio blog splinderiano quasi sei anni fa. A riprova non solfanto di "averlo detto" e che non c'è niente di nuovo sotto il sole, ma che per vedere le cose basta aprire gli occhi.


DOMENICA, 19 OTTOBRE 2008
Il compagno Berlusconi, vero comunista

E' nei momenti di crisi che le persone mostrano sé stesse e il loro vero volto: non fa eccezione il Cavalier Banana, che si è rivelato l'unico, vero comunista di questo Paese. Ormai non c'è alcun dubbio in proposito: a margine del Consiglio europeo svoltosi a Bruxelles mercoledì ha lanciato l'allarme affermando che l'Italia è a rischio di scalate da parte dei "fondi sovrani", e ha annunciato il varo di norme contro le OPA ostili, sottintendendo una sorta di "gradimento" da parte dello Stato, alla faccia della tanto declamata globalizzazione e libera circolazione dei capitali; il giorno successivo, nella conferenza stampa tenuta assieme a Tremonti e al gagà Frattini, insomma la triade a capo del Soviet Supremo, con uno sorriso sardonico e compiaciuto ha potuto dire che finalmente in Europa «gli aiuti di Stato, che fino a ieri erano peccato, sono un imperativo categorico»: niente di meno; e che «se gli Usa hanno investito così massicciamente nel settore dell'auto non c'è da scandalizzarsi anche da parte nostra, ove sia necessario, che gli Stati possano pensare di dare in qualche modo supporto alla loro industria automobilistica». Ne da conto il Financial Times nell'articolo che avevo già segnalato ieri, qui nella versione originale, che nota come della crisi stia beneficiando Silvio Berlusconi, "il cui trattamento in alcune parti dei media sta raggiungendo livelli nordcoreani mentre il suo governo sembra godere di un’autorità che non si è vista per decenni". A dispetto della sua discutibile fama di imprenditore sedicente liberale, è adesso, nel pieno della crisi finanziaria che si sente più a suo agio, "alla guida di mercati e settori chiave attraverso lo Stato, con Alitalia come esempio più lampante. La compagnia in perdita - sottolinea il Financial Times - è stata affidata a un gruppo di imprenditori nazionali escludendo un compratore straniero, cambiando le leggi anti-monopolio e presentando un conto di miliardi di euro ai contribuenti italiani".
L'italiota, gonzo, che secondo un sondaggio accredita il premier di un consenso al 62%, celebra il ruolo dello "Stato salvatore" sorvolando sul fatto che pompi danaro per salvaguardare banche e mercati togliendolo all'assistenza e alla scuola, come fa notare Ilvo Diamanti, citato nel pezzo. Sempre ieri, illuminante l'editoriale dell'economista Francesco Giavazzi sul CorSera a proposito degli aiuti di Stato, intitolato opportunamente "Il passo indietro". Della profonda natura statalista del Cavalier Banana, e del suo essere profondamente comunista, secondo un'interpretazione naturalmente del tutto personale, ben prima del quotidiano inglese se ne erano resi conto i gli eterni custodi italiani di quella ideologia che appariva morta e sepolta dal crollo del Muro di Berlino, ovvero i dirigenti e maîtres à penser dell'allora PCI, poi PDS, quindi DS e ora PD. I più svegli o solerti dei quali, come Ferrara, Costanzo o Bondi, per non parlare degli orfani di Bettino Craxi, passando direttamente alle sue dipendenze prima ancora che tentasse l'avventura politica con Forza Italia; gli altri, rimasti nella casa madre, spianandogli la strada prima quando ancora era soltanto un piccolo costruttore brianzolo riciclatosi nelle TV commerciali, poi come pseudo avversario politico: riconoscendo in Berlusconi uno col loro stesso DNA, ma più capace, in una prima fase hanno tentato di fermarlo confidando nella magistratura, quindi lo hanno inseguito, arrancando invano e penosamente, sul terreno scelto e imposto da lui stesso. Essendo dei comunisti, per quanto alle vongole, essi stessi, non potevano muovergli l'accusa di esserlo, e nemmeno rinfacciargli di essere un fascista e tantomeno un baciapile, considerata la loro stessa sudditanza alla chiesa cattolica: il Cavalier Banana è un pragmatico che pensa esclusivamente ai suoi interessi, alla "roba" e al potere, fottendosene di ogni orpello ideologico. Si sono impuntati invece sul conflitto di interesse che, né prima della "discesa in campo" nel 1994, sia successivamente nei complessivi 7 anni di governo controsinistrato, hanno fatto nulla per risolvere, anzi: stendendo delle consistenti reti di protezione (statali) quando le sue aziende erano indebitate fino al collo. Né più né meno quello che sta facendo il Cavalier Banana con Alitalia. Avendo a che fare con degli idioti del genere come avversari politici, pieni di scheletri nell'armadio quanto e più di lui, come ben sappiamo l'impostore ha avuto buon gioco ad accreditarsi come imprenditore liberale, insofferente delle regole e dei "lacciuoli" posti dallo Stato: il cui compito, si capisce ora, nella sua ottica non è quello di dettare norme valide per tutti ma solo per alcuni, e di sostenere gli imprenditori in difficoltà a causa delle loro scelte a capocchia. E poiché l'uomo è un menarosto, epperò furbo e un grande imbonitore dotato di una faccia di tolla senza pari, accusava lui di essere comunista chiunque facesse appena finta di ostacolare i suoi piani: da ineguagliabile  venditore di pubblicità qual è, conosce i polli che popolano la Terra dei Cachi e sa quali favole vuole sentirsi raccontare, l'unico ad aver leninisticamente imparato la lezione della DC che, non a caso, ha governato l'Italia per mezzo secolo, e continua a farlo seppure sotto mentite spoglie e in condominio col compagno Berlusconi. Ed ecco spiegato il "trattamento nordcoreano" riservato al capo del governo dal sistema informativo nazionale che tanto stupisce il Financial Times, questo foglio di sovversivi liberali e per di più straniero, zerbinaggio mediatico che si basa a sua volta sul 62% di consensi che gode da parte dell'italiota-tipo, il quale vede lo Stato non come un organismo di cui fa parte o di una struttura per porre le basi di una convivenza civile, cosa che in questo Paese non interessa, ma come una forza estranea e ostile e al contempo una vacca da mungere all'occorrenza: una matrigna dai due volti. Un rapporto schizofrenico e dunque malato che da vita a una realtà televisiva e virtuale in cui tutti i problemi vengono risolti dall'ometto della provvidenza per mezzo dello Stato salvifico che sistema tutto. Un viaggio in un mondo incantato il cui biglietto verrà pagato da tutti noi, per anni al momento del brusco risveglio. Non volevo morire demoscristiano, ma nemmeno comunista!

1 commento:

  1. Non volevo morire demoscristiano, ma nemmeno comunista!
    Non ti resta che morire come sei vissuto: Anarchico!

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