mercoledì 21 dicembre 2016

Aquarius

"Aquarius" di Kleber Mendonça Filho. Con Sonia Braga, Maeve Jinkings, Humberto Carrão, Irandhir Santos, Barbara Colen, Julia Bernat, Thaia Perez e altri. Brasile 2016 ★½
Pieno di speranze, e pregiudizialmente ben disposto verso ciò che, a dosi sempre troppo scarse, ci arriva dal Continente Desaparecido, benché popolato da milioni di italiani o loro discendenti, sono uscito più deluso che perplesso dalla visione di questo film, che pure ha l'innegabile pregio di denunciare senza mezzi termini sia le attitudini predatorie degli speculatori immobiliari e terrieri, da sempre volano della corruzione dilagante in Brasile, sia il colpevole oblio verso un passato di lotta contro una dittatura ultraventennale e il tradimento delle istanze verso un futuro migliore sempre promesso e mai arrivato a coinvolgere tutto il Paese. Pur avvalendosi di una Sonia Braga in stato di grazia nei panni di un personaggio che sembra tagliato apposta per lei, una donna fascinosa e volitiva che a metà della sessantina, l'età dell'attrice, si ritrova a essere l'unica abitante rimasta a vivere in un condominio, l'Aquarius del titolo, prospiciente la spiaggia più rinomata di Recife, nel Nordeste del Brasile, Stato del Pernanbuco, unico edificio d'epoca (anni Quaranta) sopravvissuto all'oscena colata di cemento che si è abbattuto sulla città e al centro delle mire di un'immobiliare che ha già acquisito tutti gli altri appartamenti. Clara è una famosa critica musicale pensionata rimasta vedova che vive lì da sempre e che non è intenzionata a mollare: i reiterati tentativi di farla cedere, inizialmente con proposte vantaggiose e lusinghe; in seguito attraverso minacce dapprima larvate e poi più fattuali, cozzano contro la volontà di ferro di una donna capace di combattere un devastante cancro al seno e proseguire con coraggio la propria vita, sessualità compresa, e le sue passioni, coltivare la famiglia e le conoscenze nate e tenute assieme dalla solidarietà dei tempi duri, tirare su tre figli: da qui un duello epico tra Clara e Diego, il rampollo della famiglia di costruttori, fresco di studi negli USA e, come se non bastasse, adepto di una delle tante sette protestanti che flagellano il Brasile più ancora di quanto abbia fatto la chiesa cattolica o l'insipienza di una classe dirigente rapace. Clara trae la sua forza da un passato che la pellicola ripercorre, prendendola anche troppo larga, partendo dagli anni Ottanta con una Clara trentenne (Barbara Colen) somigliante in maniera impressionante (mi sono emozionato) a Elis Regina, la cantante gaucha tragicamente scomparsa nel 1982 ed entrata nel mito, durante la festa del settantesimo compleanno di un'altra donna forte, l'emancipata Lucia, vecchia militante e studiosa, un'icona per i ragazzi dell'epoca; il resto è lasciato ai ricordi della protagonista e alla bravura di Sonia Braga. Quello che non funziona è il ritmo, che più ancora che sincopato è discontinuo, la sincera pochezza degli altri interpreti, che sembrano davvero comparse messe a dire due parole in croce, e l'impianto assolutamente televisivo, e quasi due ore e mezzo di telenovela propinata in unica soluzione sono troppe anche per un occhio benevolo. Si rimane ancora una volta perplessi dal fatto che il più grande e ricco Paese dell'America Latina sia capace di produrre un cinema che, anche nelle sue espressioni migliori (a giudicare almeno da quel che filtra qui in Europa) è lontano anni luce da quello argentino in primis, seguito da quello cileno e da quello messicano e quindi colombiano. Troppo poco per le potenzialità del Paese e per i temi che avrebbe da proporre. 

Nessun commento:

Posta un commento